Ennesima querela, ennesimo rinvio a giudizio, ennesima assoluzione. Così vanno le cose. Da oltre un decennio.
E così le prendiamo, con leggerezza.
Ogni volta pubblichiamo non certo per vana gloria gli esiti di questi processi assurdi che dobbiamo subire, ma lo facciamo per segnalare ai lettori, che sono soprattutto cittadini, cosa comporti provare a far conoscere loro cosa accade nei centri di potere e come reagiscono chi questi poteri detiene ed utilizza, troppo spesso a fini propri.
Noi non facciamo altro che raccontare fatti, e per di più pubblicandone gli atti a sostegno. Sempre.
Però un principio più che balordo, l'obbligatorietà dell'azione penale, costringe magistrati che avrebbero ben altro da fare ad imbastire incredibili processi penali sol perché qualcuno prova ad intimidirci, spesso a spese di enti pubblici e quindi pagando fior fior di avvocati con i soldi di tutti. O a spese di associazioni che soldi pubblici ricevono.
La legge è ancora più balorda se si pensa che anche in caso di soccombenza, il querelante temerario quasi mai paga i danni procurati a chi viene ingiustamente denunciato e deve subire anni di identificazioni, interrogatori, udienze.
Ed in questo le categorie degli editori e dei giornalisti si sono sempre rivelate troppo deboli nel garantire spazi di libertà all'informazione.
Ma deboli anche i cittadini-lettori, che non capiscono che questi sono tentativi violenti e volgari di sottrarre loro le informazioni su come vengono gestiti i centri di potere ed il denaro pubblico.
Non capiscono che l'obiettivo del potere, di tutti i poteri, è rimanere nell'ombra, indisturbato, impunito.
E più rimane impunito, più la sua qualità decade, sino ad arrivare ai livelli infimi di questi tempi.
E la situazione peggiora.
Ma veniamo al caso.
Innanzitutto ancora una volta grazie all'avvocato Emanuela Fragalà che ha difeso con la consueta passione, competenza e lucidità processuale le nostre ragioni ed il nostro diritto/dovere di informare l'opinione pubblica ed ancora una volta ha ottenuto una sentenza favorevole, che adesso porteremo in sede civile per i danni che abbiamo subito.
Gli articoli “incriminati” erano due: “La Croce Rossa ed il SUV del presidente” e “In Croce Rossa è resa dei conti”.
La storia che raccontavamo e che ha indotto il presidente della Croce Rossa di Catania Stefano Principato e denunciarci è talmente… “non la definiamo per non far perdere altro tempo alla magistratura con qualche altra querela temeraria”…, che ci vergogniamo anche a raccontarla.
La trovate in calce, tra gli altri articoli che abbiamo dedicato a chi gestisce o ha gestito la benemerita associazione, e riguardava l'utilizzo di mezzi di proprietà della Croce Rossa.
Per una di queste querele siamo fermamente convinti di aver subito una vera e propria calunnia, da un altro super big della Croce Rossa, e siamo ancora in attesa che la titolare dell'indagine si pronunci una volta preso atto che chi ci denunciava mentiva sapendo di mentire: attendiamo con pazienza.
E su questa associazione c'è molto di più ed in alcuni casi ha anche coinvolto vertici delle istituzioni governative, che ci hanno anch'essi denunciati ed anch'essi hanno perso. Potremmo dire ignominiosamente.
La sentenza sul caso del SUV, le cui motivazioni sono state appena pubblicate dal Giudice Stefania Cacciola, chiarisce i termini della questione ed afferma che "questo Tribunale ritiene che non possano esservi dubbi sulla rilevanza pubblica del tema trattato nell'articolo in contestazione, in quanto avente ad oggetto l'attività di un ente come la Croce Rossa che "vive" grazie all'impegno di tutti coloro che vi prestano servizio come volontari, nonché grazie alle donazioni in denaro che riceve. Dunque, è interesse della collettività essere informati circa l'utilizzo sia del denaro gestito dalla Croce Rossa sia dei mezzi di servizio della stessa".
Poi: “Passando all'esame del ”limite" della verità dei fatti, lo stesso Principato, in sede di esame, ha confermato di fare un uso personale dell'autovettura di servizio, utilizzandola per effettuare i propri spostamenti come denunciato dall'articolo. A ciò si aggiungano le numerose segnalazioni pervenute presso il quotidiano Sudpress, noto per il suo impegno nel giornalismo d'inchiesta".
E ancora spiega il Giudice Cacciola: "Il diritto di critica non si manifesta solamente nella semplice esposizione dell'opinione del soggetto su determinate circostanze, ma si caratterizza per essere un'interpretazione di fatti considerati di pubblico interesse, avendo di mira non l'informare, bensi l'interpretare l'informazione e, partendo dal fatto storico, il fornire giudizi e valutazioni di carattere personale.
Proprio perché l'esercizio del diritto di critica non si concretizza nella mera narrazione di fatti, bensì nell'espressione di un giudizio e, più in generale, di un'opinione".
E quindi la conclusione: “L'imputato va, pertanto mandato assolto perché il fatto non sussiste”.
Siamo certamente soddisfatti, ma non possiamo sorvolare sul fatto che ci siamo dovuti fare 7 anni di processo e che nel 2017, quando siamo stati rinviati a giudizio, chi ci accusava ingiustamente si vantava in pubblica assemblea di averci trascinato a processo, con ciò concorrendo ad alimentare la percezione di poteri intoccabili ed impunibili.
E adesso?
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