
Con la maestria di un orologiaio che intarsia minuziosamente i delicati ingranaggi del tempo,
Moni Ovadia e Mario Incudine hanno ricomposto e dato nuova vita a "Liolà", tessendo insieme fili di prosa, musica e un'essenza popolare che s’innalza con la grazia di un inno alla quotidianità.
L'apertura della Stagione 2023-2024 del Teatro Vitaliano Brancati, sotto la guida sicura di Tuccio Musumeci, non avrebbe potuto ottenere vessillo più adatto.
Questa rielaborazione dell'opera di Luigi Pirandello, un intreccio di "Il fu Mattia Pascal" e "La mosca", si è rivelata una sinfonia drammaturgica che ha navigato attraverso la commedia e l'epos, con una produzione del Teatro della Città che merita elogi per aver sfumato i confini tra romanzi e palcoscenico.
Con debutto il 1° novembre e repliche sino al 12, inclusi due giorni di trasferta nel prestigioso Teatro Massimo Città di Siracusa, l'opera si è snodata in una suite di scene in cui prosa e canto hanno creato una favola moderna, palpabile ed eterea.
Mario Incudine si è dimostrato un Liolà vivace e multiforme, incarnando con spirito camaleontico la figura di un Don Giovanni mozartiano e un Dioniso mitologico, un vortice di passione e libertà.
La sua performance è stata un capolavoro di naturalezza e charisma, un volo pindarico che teme ogni gabbia e ansima in cerca di amore senza catene.
Contrapposto a Liolà, Angelo Tosto nel ruolo di zio Simone ha sfoggiato una maschera grottesca, ritraendo un personaggio cinico e senza scrupoli, la cui meschinità era evidente come il chiarore della luna in una notte senza nuvole.
La sua ricerca di un erede si è dipanata con una teatralità che tocca l'animo dello spettatore.
I personaggi che hanno colorato la vicenda, dal timbro distintivo di Rori Quattrocchi come la Zà Ninfa, all'energia di Olivia Spigarelli nei panni di La Zà Croce, sono stati come note di una partitura ben scritta, ognuno indispensabile nell'orchestra del dramma.
Hanno tessuto una coreografia di gesti e intenzioni, vestendo costumi bidimensionali che sottolineavano un’ironica piattezza dell'animo, come foglie portate dal vento della satira.
Il senso della maternità è stato affidato a La Zà Ninfa, madre bonaria che raccoglie i frutti delle avventure amorose del figlio con una saggezza che trascende l’ordinario.
E non si può trascurare la figura di Paoluzzu ‘u fuoddi, interpretato magistralmente da Paride Benassai, la cui follia si è rivelata essere la più sottile delle lucidità, muovendo i fili della vicenda con la maestria di un burattinaio divino.
La musica, curata da Incudine stesso, con le chitarre di Denis Marino e la fisarmonica e zampogna di Antonio Vasta, ha pulsato con un ritmo che è stato il cuore stesso dell’opera, mentre le voci delle popolane, da Valentina Caleca a Flavia Papa, hanno risonato come un coro antico, narratori di una tragedia che si schiude in commedia.
In conclusione, "Liolà" è stata un'opera che, nella sua stessa diversità e giocosa serietà, ha celebrato l'essenza dell'esistenza e dell'arte, palesando la profondità dei sentimenti umani attraverso la magia del teatro.
La regia di Ovadia e Incudine è riuscita a trasformare il palcoscenico in un microcosmo dove la vita danza al ritmo del tempo immortale, lasciando negli spettatori l'eco di un'opera che, come la vita stessa, è un canto, un volo, una poesia.