
Quanto accaduto sul palco del MAXXI (Museo dell’Arte del XXI secolo) lo scorso 21 giugno è senza dubbio indecoroso e indegno, sia del luogo in cui è capitato che delle persone coinvolte.
Ma purtroppo è, nel contempo, uno dei tanti sintomi dell’imbarbarimento morale e - ahimè! - culturale, che da anni caratterizza ormai la nostra epoca.
Un tempo, il turpiloquio era bandito dalle manifestazioni pubbliche e, in quelle private, era sempre accompagnato dalle scuse, specialmente se si verificava in presenza di una o più donne.
Adesso, invece, è considerato una comune – e talora tra le più meritevoli – espressione del pensiero.
Infatti, ricorre frequentemente nei testi delle canzoni, nei copioni dei film o delle fiction televisive, nelle pagine dei libri, nelle esibizioni dei comici, nei talk show, nei reality e perfino nelle sedi istituzionali.
Ricordo che durante la pandemia, dallo scranno più alto di un’assemblea, un politico rivendicò il diritto suo e dei suoi colleghi di vaccinarsi, gridando che era incazz... perché era stato preso per il c... e che, quindi, avrebbe voluto ammazzare qualcuno.
Una volta, ai bambini che si preparavano alla prima Comunione, le catechiste spiegavano che le parolacce rientravano tra i peccati da confessare.
E i genitori si guardavano bene dal pronunciarle in loro presenza, così come gli insegnanti usavano sempre un linguaggio irreprensibile in aula.
La comicità non andava mai oltre i doppi sensi o le allusioni, non solo per non incappare nella censura, ma soprattutto per risultare più efficace.
Oggi ci sono programmi totalmente costruiti sull’insulto verbale e l’aggressione.
Anche certi cartoni animati non disdegnano il ricorso alla volgarità, ciò vuol dire che intere generazioni stanno crescendo con questi riferimenti.
Non meravigliamoci, allora, se un ragazzino si permette di apostrofare un adulto, o un anziano, offendendolo.
Non sarà tutta colpa sua!
Le performance di Sgarbi e di Morgan sono state di pessimo gusto e rappresentano una inaccettabile caduta di stile. Entrambi hanno dato uno spettacolo indecente, non hanno divertito e sono apparsi inopinatamente volgari.
Nel senso che avrebbero potuto evitare le frasi esplicite, assolvendo con eleganza i rispettivi ruoli di sottosegretario alla cultura e di artista.
Ma temo che le loro battute, purtroppo, non abbiano scandalizzato nessuno.
Probabilmente avranno imbarazzato, proprio per l’inutilità e la sconvenienza di dare un taglio così basso alla conversazione e per il polverone mediatico e le speculazioni politiche che hanno sollevato.
Ma lo scandalo è una categoria che appartiene sempre meno a questa società, in cui tutto è lecito.
Esso dovrebbe presupporre una sensibilità morale che, lo ripeto, viene sistematicamente violata, a cominciare dalla più tenera età.
Potrei concludere la riflessione auspicando che quest’episodio serva a far nascere una nuova consapevolezza, che sappia riapprezzare la finezza dei comportamenti e del linguaggio.
Che la buona creanza torni ad essere percepita come un valore da incarnare oggi e non come un residuo ancestrale. Che il rispetto per le persone ricominci dai modi e dalle parole con cui ci si rivolge ad esse.
Ma realisticamente non credo accadrà nulla di tutto ciò: se ne parlerà qualche giorno ancora e poi ogni cosa sarà archiviata.
Fino a quando un’altra insegnante non sarà colpita dai suoi alunni o aggredita dai genitori, il politico di turno non sfoggerà la propria cafonaggine e l’esperto intervistato parlerà di emergenza educativa.
E così passa la scena di questo mondo!