
L’arresto della dirigente scolastica palermitana, avvenuto lo scorso 21 aprile, è una notizia che ha lasciato sgomenti tutti coloro che hanno a cuore l’educazione dei giovani di questo Paese, quanti sono impegnati a favore di una cultura della legalità, chi, ogni giorno, rischia la vita per proteggerci dalla criminalità e, in generale, l’intera opinione pubblica.
Se è deprecabile che risulti indagato chi sta a capo di un’agenzia educativa, suscita sdegno che ciò sia capitato in una istituzione dedicata a Giovanni Falcone e in uno dei quartieri dove maggiore e forse determinante può essere il ruolo della scuola.
È d’uopo precisare, come sempre, che le sentenze che contano sono quelle emesse dai tribunali e che, prima di allora, tutti gli imputati devono sempre considerarsi innocenti.
Benché, in questo caso, le immagini girate dagli inquirenti e diffuse dai media, oltre che alcune intercettazioni di cui si è potuto ascoltare il contenuto, pesino come macigni sulla reputazione della preside.
Adesso poche, insufficienti, ma spero utili considerazioni.
La prima riguarda il rischio che questa vicenda possa offuscare il lavoro di centinaia di insegnanti, impegnati in un’azione meritoria e indispensabile che, ahimè, non sempre viene loro ascritta.
È superfluo dire che quella del docente è in Italia una delle professioni più bistrattate e non tanto per gli stipendi nettamente inferiori a quelli erogati in altri importanti Stati europei, ma per il discredito che spesso le viene gettato addosso.
Da parte di genitori facinorosi, che non esitano a trasformare un colloquio in un’aggressione; di ragazzi che ormai disconoscono e talora scherniscono l’autorità dei professori; di un clima generale non favorevole, che sembra non preoccuparsi di consegnare alla società teste pensanti ma, come scrivemmo tempo fa citando Gustavo Zagrebelsky, “sugheri vaganti nel presente, senza domande sul passato e sul futuro, individui senza individualità, pezzi disponibili a essere utilizzati come tecnici esecutori inconsapevoli e passivi”.
La seconda riflessione vuole essere un appello, accorato e reiterato, a recuperare la dimensione educativa dell’istruzione a scapito di quella aziendale. Il fine di un’azienda, infatti, è legittimamente il profitto e guai se non fosse così!
Ma per gli ospedali (anch’essi divenuti nel frattempo “aziende sanitarie”), le scuole e, in generale, le realtà che sono a servizio della persona, l’obiettivo primario deve essere il bene e la promozione di quest’ultima.
Se ciò è effettivamente assicurato dalla maggior parte dei professionisti del settore e, ripeto, non ignoriamolo, ma riconosciamolo!
In qualche caso può accadere – e temo che di fatto accada – che si invertano i termini della questione e che, ad esempio, ragazze e ragazzi siano visti e considerati sostanzialmente come mezzi funzionali ad ottenere fondi e risorse o a guadagnare prestigio e notorietà.
Naturalmente non c’è nulla di male, né di illecito in tal guisa di procedere, ma sicuramente si snatura la funzione della scuola e si creano le premesse del suo fallimento.
Infine, continuiamo a parlare di legalità nelle aule scolastiche, anzi ad insegnarla, a far sì che essa diventi cultura e non l’osservanza di norme per timore di essere sanzionati.
Facciamolo con passione, con competenza, con creatività, con intraprendenza, con l’apporto di testimoni preziosi ed efficaci, con costanza e coerenza.
Ma soprattutto con l’esempio.