
Nei giorni scorsi è stata usata spesso la parola “coscienza”, pronunciata da figure istituzionali, che mi hanno portato indietro nel tempo, a quel 16 marzo 1978, quando le Brigate Rosse massacrarono cinque servitori dello Stato e sequestrarono l’on. Aldo Moro, l’uomo da essi scortato, simbolo indiscusso del potere politico e leader della Democrazia Cristiana, il maggiore partito italiano.
Iniziava così un periodo drammatico, durante il quale i terroristi hanno provato a ricattare le istituzioni, pretendendo la scarcerazione di alcuni loro compagni, in cambio della liberazione dello statista.
Il governo, presieduto da Giulio Andreotti, decise subito di respingere le richieste dei brigatisti, per rispetto delle cinque vittime e dei loro familiari, ma anche per evitare una trattativa, che avrebbe potuto dare a degli assassini un pericoloso e sconveniente riconoscimento politico.
Tale linea, definita “della fermezza”, fu voluta dalla DC, allora guidata da Benigno Zaccagnini, dal PCI, il cui segretario era Enrico Berlinguer, dal MSI di Giorgio Almirante e da quasi tutti gli altri partiti.
Molto pochi erano i favorevoli ad un negoziato, fra di loro il socialista Bettino Craxi e il radicale Marco Pannella.
Moro, dal canto suo, cominciò a scrivere lettere a compagni di partito e colleghi parlamentari, affinché non fosse esclusa nessuna strada, neanche l’ipotesi di uno scambio di prigionieri.
Si disse subito che egli non fosse lucido, che avesse, anzi, la sindrome di Stoccolma, ovvero quel comportamento messo in atto da un ostaggio, che simpatizza per i suoi sequestratori, da lui visti come gli unici in grado di salvarlo.
In realtà il suo era un tentativo estremo e purtroppo vano, di far applicare fino in fondo la Costituzione italiana, per la quale la persona umana è un bene assoluto, superiore a qualunque considerazione o conseguenza politica.
Essa, pertanto, va sempre salvata, anche a costo di scendere a compromesso con qualcuno.
Nei suoi scritti, egli manifestava con coerenza quanto aveva sostenuto e scritto nell’Assemblea Costituente, ma soprattutto il frutto dei suoi studi accademici e delle sue lezioni universitarie.
Agli studenti, che lo seguivano anche alla Farnesina, durante gli anni in cui era Ministro degli Esteri, aveva sempre spiegato questo principio cardine del nostro ordinamento, ricorrendo proprio all’esempio del sequestrato, per liberare il quale le autorità non devono esitare a dialogare con i rapitori e, in mancanza di altre soluzioni, ad accogliere le loro istanze.
Dopo 55 giorni, il successivo 9 maggio, il cadavere di Moro fu trovato nel cofano di una Renault 4 rossa, posteggiata significativamente in Via Caetani, tra Piazza del Gesù e Via delle Botteghe oscure, rispettivamente sedi della DC e del PCI.
In questi 45 anni, sebbene si siano celebrati ben cinque processi e le BR siano state sconfitte, nella vicenda non sono mancati aspetti inquietanti e misteriosi, che non hanno mai soddisfatto del tutto una domanda terribile: lo Stato ha realmente fatto tutto il possibile per salvare Aldo Moro?
Un grande giornalista, Sergio Zavoli, ha dedicato agli anni di piombo uno dei suoi lavori più apprezzati: La notte della repubblica.
Si tratta di un programma televisivo, andato in onda su Rai2 per 18 puntate tra il 1989 e il 1990 e divenuto successivamente un libro, pubblicato dell’editrice ERI.
E veniamo alla coscienza, una sera Zavoli pose l’interrogativo a Giulio Andreotti, il quale rispose affermativamente, senza esitazione, spiegando di avere la coscienza a posto e mostrando stupore per l’atteggiamento della famiglia Moro che, dopo la morte del loro congiunto, non aveva voluto più incontrarlo.
Nella puntata successiva, il giornalista sottopose il medesimo quesito a Benigno Zaccagnini.
Questi rimase alcuni istanti in silenzio, trattenendo una commozione che rivoli di lacrime, comparse sul suo volto rugoso, non riuscirono a nascondere.
Quindi disse di non saperlo, che se lo chiedeva tutti i giorni dal 9 maggio del 1978 e che, se la famiglia del suo amico e collega glielo avesse consentito, pur ritenendo di avere fatto tutto il possibile per salvarlo, le avrebbe chiesto perdono di ciò che, eventualmente, si sarebbe potuto fare e lui non aveva saputo fare.
Evangelicamente chiederei ai nostri lettori: quale dei due ha realmente agito secondo coscienza?