
L’arresto di Rosalia Messina Denaro, sorella del più noto Matteo, è l’ulteriore conferma che si è arrivati alla cattura del boss di Castelvetrano, grazie ad una brillante operazione, coordinata dalla Procura di Palermo e messa in atto dai Carabinieri.
Non dunque la consegna spontanea di un capo logorato dalla grave malattia, che lo affligge da tempo, ma il risultato di mesi di indagini, svolte con strumenti avanzati, che dimostra la volontà dello Stato di impedire a Cosa nostra di riprendersi dalle sconfitte subite negli ultimi anni.
Nell’abitazione della donna, infatti, in cui i militari dell’Arma erano entrati per piazzarvi delle microspie, è stato trovato un pizzino, relativo alla visita cui il latitante avrebbe dovuto sottoporsi nella clinica Maddalena di Palermo, il luogo dove il 16 gennaio è stato poi catturato dal ROS.
Il ruolo di Rosetta, nome in codice Fragolone, sarebbe quindi stato di importante supporto e copertura al fratello e, probabilmente, di successione alla guida della famiglia, dopo l’arresto di lui.
Ora, nessuno si meraviglia che dei consanguinei sopperiscano all’assenza di un capomafia.
È però raro che siano delle donne ad agire in tal senso, nonostante dei famosi precedenti.
A cominciare da un’altra Rosetta, la sorella del camorrista Raffaele Cutolo, fondatore e capo della nuova camorra organizzata.
Anch’essa è finita in carcere e vi ha scontato una condanna per associazione mafiosa, avendo continuato a tenere le fila dell’organizzazione, durante la detenzione del fratello.
E non mancano altri casi analoghi in Sicilia, senza contare tutte coloro che hanno affiancato mariti, fratelli o figli, collaborando con loro, pur rimanendo dietro le quinte, ma non per questo risultando meno efficaci e importanti di chi, invece, si è esposta in prima persona.
Naturalmente Rosalia Messina Denaro dovrà adesso essere giudicata e soltanto dopo un’eventuale condanna, la si potrà ritenere colpevole dei reati che le vengono attribuiti.
Tuttavia, grande è stato il dispiacere per avere appreso che una donna abbia potuto assumere la leadership di un clan criminale.
Non va però trascurato che le ribellioni più autentiche e clamorose al sistema di potere mafioso, negli anni, siano provenute proprio dalle donne.
A differenza di quelle maschili, molto spesso dettate non da un reale pentimento, ma da un desiderio di vendetta, le collaborazioni femminili con la giustizia partono da una forte presa di coscienza e dalla volontà, precisa e determinata, di provare a dare a sé e ai propri figli un futuro diverso e migliore.
Forse perché hanno compreso prima degli uomini che, come diceva Rita Atria, non si può combattere e vincere la mafia fuori di noi, se prima non l’abbiamo sconfitta dentro.
Oltre alla ragazza di Partanna, suicidatasi una settimana dopo la strage di Via D’Amelio, molte sono le donne, che hanno concorso ad arrestare pezzi da novanta di Cosa nostra.
Soffermiamoci sulla vicenda di Carmela Iuculano, che ha pure ispirato il libro Storia vera di Carmela di Carla Cerati, edito da Marsilio.
Moglie di un boss finito in carcere, per un certo periodo ne fa le veci fino a quando non viene arrestata.
Essendo madre di tre bambini, sconta la pena ai domiciliari e rimane scossa dalla frase che un giorno le dice una di loro: “Mamma, mi vergogno di chi sono figlia!”
In quel momento Carmela decide di collaborare con i magistrati Lia Sava, Michele Prestipino e Sergio Lari e chiede, ma invano, che il marito la segua in questa decisione.
Con le sue rivelazioni è smantellata l’intera famiglia mafiosa e molti uomini d’onore sono definitivamente condannati.
Molto significativa la ragione che ha indotto la donna a compiere il passo decisivo: “Lo faccio per amore dei miei figli, finora sono stata una mamma incosciente, ma adesso voglio assicurargli un futuro migliore, voglio toglierli da quella cultura fatta di silenzio, egoismo e odio. Voglio strapparli a quella famiglia mafiosa in cui per destino o per disgrazia sono nati”.