
La settimana che sta per concludersi è stata segnata dall’ennesima strage del mare, nella quale hanno perso la vita decine di esseri umani, provenienti dall’Asia minore, inghiottiti dal Mediterraneo, a poca distanza da Crotone.
Uomini e donne di ogni età, in cerca di qualcosa (pace, lavoro, casa), che noi, invece, abbiamo senza meritarlo più di loro.
Ma solo perché siamo nati in uno dei dieci Paesi, in cui è concentrato il 77% della ricchezza mondiale.
È chiaro che se questo non è un merito non è neanche una colpa.
E tuttavia il modo in cui reagiamo a tragedie di tali dimensioni, fa venire in mente il versetto di un salmo che dice: “l’uomo nella prosperità non comprende, è come gli animali che periscono”.
Si parla spesso di indifferenza o assuefazione nei confronti di notizie agghiaccianti e di immagini raccapriccianti, che irrompono nelle nostre case, senza distoglierci dall’attività nella quale siamo concentrati e impegnati.
Oppure del cinismo di alcune dichiarazioni, rilasciate da esponenti politici non particolarmente ispirati, cui fanno eco i commenti sarcastici di qualche giornalista ormai sul viale del tramonto.
La questione è, purtroppo, ancora più profonda e radicale, perché riguarda l’incapacità di rendersi pienamente conto di quanto accade da decenni, delle trasformazioni epocali in corso, che nessuno potrà impedire, fino a quando non si compiranno del tutto.
Non sappiamo a cosa approderanno, ma esse certamente proseguiranno, anche se andranno in una direzione diversa da quella che vorremmo noi.
Opporsi o pretendere di arrestarle non è solo velleitario, ma denota mancanza di cultura, miopia politica, insensibilità sociale, scarsa professionalità, individualismo e soprattutto disumanità.
E di quest’ultima abbiamo, da tempo, varie e inequivocabili conferme!
Secondo l’Autore sacro, responsabile di questo abbrutimento è l’opulenza, che retrocede l’uomo a bestia.
Ora, sarebbe ipocrita disdegnare il benessere o dichiarare di volervi rinunciare, dal momento che esso è, in fondo, il fine cui tende ogni persona.
La povertà materiale, quando non è il frutto di una scelta libera e personale, diviene miseria.
E non solo essa non è mai auspicabile, ma chi ha funzioni di governo ha il dovere di contrastarla e scongiurarla.
D’altro canto, però, quando la ricchezza non è equamente distribuita, ottenebra la vista e la mente di chi la possiede in abbondanza e gli impedisce di vedere e riconoscere le necessità altrui.
Inoltre, la storia lo insegna, può generare violenza, ribellione e perfino guerre.
In natura, tutto ciò che si trova in una situazione di squilibrio, tende spontaneamente a riequilibrarsi.
In fisica questo fenomeno è detto “dei vasi comunicanti” ed è facilmente verificabile, osservando il comportamento di un fluido che, all’interno di un condotto ad U, si stabilizza solo dopo avere raggiunto pari livello in ambedue le braccia del contenitore in cui si trova.
Molti danni naturali avvengono per lo sforzo con cui il creato si riappropria di ciò che l’insipienza umana gli ha prepotentemente tolto.
Gli spostamenti migratori esprimono l’anelito di popoli, che non vogliono più essere vessati o sfruttati, ma rivendicano il diritto di progredire e svilupparsi come quella parte del mondo, che vive nell’agio.
Questi viaggi contengono il desiderio di madri e padri, che hanno visto morire di inedia o di stenti i propri familiari e vorrebbero risparmiare questo destino ai loro figli.
Quando si è mossi dalla disperazione, vuol dire che si è già sperimentata l’impossibilità di reagire alle ingiustizie, alla sopraffazione, alla guerra.
E quest’impossibilità ti fa pensare che qualunque altro posto sia migliore di quello da cui fuggi.
Non comprenderlo significa avere ampiamente varcato la soglia dell’umano e, come dice il salmista, trovarsi ormai ad un passo dal perire.