Il 5 marzo 1922 nasceva Pier Paolo Pasolini, uno degli intellettuali più apprezzati e discussi del XX secolo, le cui analisi sono, ancora oggi, molto lucide e profetiche.
Gli Scritti corsari, che riassumono la sua attività di editorialista, tra il 1973 e il 1975, sul Corriere della sera, Paese sera, il Tempo illustrato, Il mondo e Nuova generazione, rivelano una straordinaria capacità di osservare la società italiana degli anni Sessanta e Settanta e di giudicarne severamente, ma realisticamente, i costumi, la politica, l’economia, la religione.
Celebri le sue considerazioni sull’aborto, che fecero scalpore nel mondo laico al quale egli si ascriveva: "Non c’è nessuna buona ragione pratica che giustifichi la soppressione di un essere umano, sia pure nei primi stadi della sua evoluzione. Io so che in nessun altro fenomeno dell’esistenza c’è un’altrettanta furibonda, totale, essenziale volontà di vita che nel feto. La sua ansia di attuare la propria potenzialità, ripercorrendo fulmineamente la storia del genere umano, ha qualcosa di irresistibile e perciò di assoluto e di gioioso. Anche se poi nasce un imbecille."
Molte pagine di Petrolio, il romanzo incompiuto, uscito postumo nel 1992, sono clamorosamente premonitrici di quelle situazioni scabrose e immorali, che avrebbero attraversato la vita istituzionale del nostro Paese, alcuni decenni dopo.
Il Vangelo secondo Matteo, ispirato da una lettura notturna del testo sacro, trovato sul comodino di un albergo, è giudicato da taluni critici cinematografici uno dei migliori film su Gesù.
Mentre in Theorema, o La ricotta, irriverente terzo episodio di Ro.Go.Pa.G., girato assieme a Rossellini, Godard e Gregoretti, è possibile cogliere la sua lungimiranza, all’epoca adombrata dalla trasgressività dei soggetti e dalla licenziosità di alcune immagini, in qualche caso ritenute pure blasfeme.
C’è pure una dimensione di Pasolini, che forse non tutti conoscono: la sua esperienza giovanile di insegnante, dapprima a Versuta, località presso il comune friulano di Casarsa della Delizia, dove improvvisò una scuola per gli sfollati della Seconda Guerra Mondiale.
In seguito passò a Valvasone, dove vi era una sezione staccata della scuola media di Pordenone.
Tra il 1951 e il 1955, dopo essere stato sospeso dalla scuola pubblica per molestie sessuali, fu nella parificata “Francesco Petrarca” di Ciampino.
Quegli anni denotano una sorta di “attivismo pedagogico”, di cui il grande scrittore parla in una lettera all’amico Nico Naldini, confessandogli: «non c’è nulla di meglio al mondo della scuola».
Anche certi suoi alunni gli attribuiscono una innegabile attitudine ad insegnare, come riporta uno dei biografi, David Schwartz: «Nei due anni passati con lui, fummo i più ricchi e fortunati allievi del nostro Friuli. Piano piano egli ci condusse per mano nella immensa “steppa” di Anton Cechov, piena di solitudine e tristezza. Ci fece fare conoscenza con il mondo tragico e colmo di umanità della Sicilia di Verga. Con lui attraversammo l’Oceano Atlantico per fermarci, commossi e pensosi, nel piccolo cimitero di “Spoon River”, poi scendemmo nel profondo Sud degli Stati Uniti, per riscaldarci col canto possente degli spirituals negri. Ci fece amare Ungaretti, Saba, Montale, Sandro Penna, Cardarelli, Quasimodo e molti altri poeti che, allora, non erano né premi Nobel né comparivano nelle antologie per le scuole, tutte piene di Leopardi, Carducci, Pascoli, D’Annunzio. Leggeva meravigliosamente bene e noi per delle ore rimanevamo incantati ad ascoltarlo. Ci insegnava a recitare, a dipingere, a giocare a calcio».
Pasolini, dunque, è stato un docente dotato di grande entusiasmo e passione, che ha seguito i dettami della pedagogia di Carleton Washburne e John Dewey, entrambi convinti assertori del forte legame che sussiste tra scuola e società.
Egli ha affrontato e approfondito i problemi della cultura italiana assieme ai suoi scolari e, come si legge nel suo diario, ha insegnato divertendosi ed emozionandosi nel contempo.
È stato capace di incuriosire e di coinvolgere i discenti, attraverso un approccio istrionico, anticipatore del suo futuro impegno di regista.
Ma soprattutto ha amato la società preborghese dell’immediato secondo dopoguerra, non contaminata e incorrotta, che non aveva ancora sperimentato le conseguenze gravi e irreversibili del consumismo.
Quest’ultimo è da lui considerato il male peggiore della sua epoca, responsabile di una mutazione antropologica, che ha distrutto la specificità, uniformato gli uomini, eliminato le culture, esaurito la storia, fossilizzato il linguaggio, livellato le coscienze, imborghesito il cristianesimo, avviandolo inesorabilmente all’estinzione.
Neanche il fascismo, per Pasolini, aveva causato tanta rovina, non essendo riuscito, durante il ventennio, a scalfire «l’anima del popolo italiano».
La civiltà dei consumi, che usa in modo spregiudicato e ingannevole i mezzi di comunicazione e di informazione, «non solo l’ha scalfita, ma l’ha lacerata, violata, bruttata per sempre».
Alla luce di queste valutazioni, che hanno accompagnato gran parte della sua produzione artistica, Pasolini, poco prima di essere ucciso, non ha risparmiato critiche severissime neppure alla scuola dell’obbligo, di cui proporrà l’abolizione, «nell’attesa di tempi migliori».
A suo giudizio, l’istruzione offerta dallo Stato, si era ormai ridotta ad insegnare cose stupide, false e moralistiche ed era funzionale soltanto alla creazione di un piccolo-borghese schiavo, invece di un proletario o di un sottoproletario libero.
Secondo Alessandro Guidi e Pierluigi Sassetti, curatori di uno studio sull’eredità lasciata da Pier Paolo Pasolini, essa può essere compresa solo da coloro che sanno «articolare una necessaria domanda sul senso della vita, della sofferenza, della morte».
È tuttavia evidente a tutti che, a un secolo dalla sua nascita, molti dei mali da lui denunciati, nel tempo si sono avverati o, in qualche caso, accentuati.