E meno male che la pandemia ci doveva rendere più buoni!
I venti di guerra che da settimane spirano al confine tra Russia e Ucraina hanno riportato indietro il tempo di alcuni decenni. Agli anni più drammatici della guerra fredda secondo alcuni, all’Europa del 1938 secondo altri.
Personalmente pensavo che quella di Putin fosse una gigantesca dimostrazione di forza, tesa a impedire l’ingresso dell’Ucraina nella NATO, ossia in un’alleanza militare, concepita e fondata nel 1949, contro l’Unione Sovietica.
Ritenevo che il riconoscimento delle repubbliche russofone di Donetsk e di Luhansk servisse a formare degli Stati cuscinetto, con la funzione di mettere al sicuro i confini della Russia.
E che la firma di tale riconoscimento, in diretta televisiva, con la farneticante ricostruzione storica di quella regione, fosse un colpo di teatro, utile più alla guerra mediatica, che a quella militare.
E invece non è stato così.
L’aggressione verificatasi nelle ultime ore ai danni dell’Ucraina smentisce clamorosamente le previsioni di molti analisti e osservatori di politica estera.
Dà ragione al vecchio Joe, che da settimane parla, con toni accorati, di un’imminente invasione.
Ma soprattutto conferisce alla guerra un carattere prettamente nazionalista e imperialista, che nel 2022 appare, a dir poco, anacronistico.
Non che il colonialismo sia scomparso dalla storia contemporanea. Tutt’altro!
Ma esso viene ormai praticato su terreni nuovi, prevalentemente economici e finanziari, come insegna da Cina, che da anni controlla gran parte del continente africano e buona parte di quello europeo.
Il ricorso alle armi per annettersi una regione estesa quanto l’Ucraina, apparterrebbe a logiche obsolete e dispendiose, di cui nessuno sentiva la mancanza.
Occorrerà attendere se nei prossimi giorni affioreranno nuovi dettagli, che aiutino a comprendere meglio ciò che sta succedendo.
Adesso bisogna sperare che il bilancio di vittime sia contenuto e che, nonostante tutto, il buon senso e la ragione prevalgano e si arrivi, al più presto, ad un negoziato serio e responsabile, per scongiurare il peggio.
A questo punto è inevitabile che scattino le sanzioni contro Mosca e che queste, purtroppo, ricadano sulla povera gente, come preconizzato da Bertolt Brecht in una celebre poesia, scritta alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale.
Sarà interessante vedere, adesso, come si schiereranno Italia e Germania, entrambe molto interessate ad avere Putin come proprio partner commerciale.
Se, cioè, conteranno di più i diritti umani o le pur necessarie risorse energetiche.
Forse è arrivato il momento per una riflessione importante sull’utilizzo dei combustibili e sulla loro provenienza.
Rendere autonomo un Paese che può permettersi l’impiego di fonti alternative non può più essere un’opzione, ma deve diventare un imperativo categorico.
Un’altra considerazione riguarda lo scenario internazionale attuale, che non poggia più sul vecchio equilibrio deciso a Yalta. Nuove potenze come la Cina e l’India, sono emerse negli ultimi tempi, affermandosi prepotentemente sullo scacchiere mondiale.
Tutto ciò impone una revisione profonda dell’ONU, che non può più continuare ad essere in balia dei vincitori dell’ultimo conflitto mondiale.
L’Unione Europea dovrebbe emanciparsi dai forti potentati economici, che la tengono in ostaggio e tornare a mettere la persona al centro dei suoi interessi.
Parimenti, andrebbero aggiornati gli accordi di Bretton Woods e il funzionamento delle due principali organizzazioni internazionali da essi scaturite: il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale, non sempre attente ed efficaci nell’aiutare i Paesi in via di sviluppo.
La pace non va difesa soltanto alla vigilia di un possibile conflitto, ma va preparata e costruita giorno per giorno, con politiche giuste e oculate, rispettose dell’ambiente e capaci di una vera promozione umana su scala planetaria.