La lunga intervista che il Papa ha rilasciato a Fabio Fazio lo scorso 6 febbraio, non è solamente uno storico evento mediatico, conseguito dal conduttore, ma uno straordinario ed efficace nuovo modo di evangelizzare.
Sì, è vero, Francesco ha affrontato molti temi d’attualità: le condizioni dei migranti, l’ecologia, il turpe commercio delle armi, la guerra.
Ma ha ripetutamente citato il Vangelo (la parabola del buon samaritano, quella del figliol prodigo, il prologo di San Giovanni), ha spiegato con semplicità cosa significa pregare e ha tenuto una incantevole lezione di antropologia cristiana.
Secondo l’auditel, la puntata è stata vista da circa sette milioni di telespettatori, alcuni dei quali rientrano certamente nel pubblico abituale di Che tempo che fa, ma molti si saranno aggiunti per seguire Bergoglio, che, in tal modo, è riuscito a parlare di Dio a milioni di persone, anche a chi non ne avrebbe voluto sentire parlare, nonostante fosse domenica.
La Chiesa in uscita, che egli ha più volte auspicato, è entrata nelle case degli Italiani, per portarvi la lieta novella.
Dispiace leggere critiche, o percepire mugugni, di cattolici nostalgici della figura ieratica e inaccessibile del Pontefice.
Quella immagine andava bene quando la società, interamente cristiana, si riconosceva totalmente nella guida spirituale e morale del Vescovo di Roma.
Quando le chiese erano stracolme, perché tutti credevano in Dio ed erano, pertanto, desiderosi di ascoltare settimanalmente la sua Parola.
Quando ogni bambino appena nato veniva battezzato e ogni coppia sceglieva di sposarsi in chiesa, accostandosi al matrimonio come sacramento indissolubile.
Quando il catechismo era frequentato come la scuola e tanto la prima comunione che la cresima erano due appuntamenti attesi e desiderati.
Oggi molto è cambiato!
In Italia, che è ancora uno dei Paesi più praticanti al mondo, i matrimoni civili hanno ormai superato quelli religiosi, con una percentuale del 52,6%: 2 su 3 al nord e 1 su 3 al sud.
Trent’anni fa si battezzava il 90% dei bambini, oggi si è scesi al 75%; per parecchi giovani la prima comunione è anche l’ultima.
Solo il 25% degli Italiani, di cui appena il 15% dei ragazzi, va a messa la domenica, in Europa non si va oltre il 4%.
Tempo fa suscitò scalpore l’avviso che un parroco veneziano affisse sulla porta della chiesa: “La messa è sospesa per mancanza di fedeli”.
Sappiamo bene che la Chiesa non è una multinazionale in cerca di clienti e condividiamo la posizione di Benedetto XVI, che si preoccupava di avere una Chiesa più santa che numerosa.
D’altronde gli ingredienti a cui Gesù paragona i discepoli, il sale e il lievito, vanno usati in dosi contenute e tuttavia essi hanno effetti su grandi quantità di cibo.
Se questi effetti non si vedono da un bel po’, vuol dire che qualcosa non funziona, che la comunicazione non è efficace come una volta, che i credenti, forse, non sono più credibili.
Lo sforzo di Francesco tende a mostrare il volto autentico della Chiesa, quello delle origini: povera, umile, caritatevole, accogliente, vicina agli ultimi e ai sofferenti.
Non clericale ma ecclesiale, meno gerarchica e più pastorale, meno rigida e più comprensiva, meno giudice e più madre.
Alla domanda sul perdono, il Papa ha risposto che esso “è un diritto di tutti gli esseri umani”, della guerra ha detto che è “l’anticreazione”, ma soprattutto ha chiarito che la realtà è superiore all’idea, non per una considerazione empirica, ma per una motivazione teologica: il Verbo si è fatto carne.
Si potrebbe obiettare che da quando è stato eletto Bergoglio, le chiese non si sono riempite.
Ma è responsabilità sua o di chi ignora il cambiamento da lui inaugurato?
È indubbio che la stima che egli raccoglie è forse paragonabile a quella di Giovanni Paolo II.
Ovviamente questo non basta, chi è a servizio della Chiesa non lavora per sé, ma per il Regno di Dio.
Ma chi è stimato, in genere, è anche ascoltato e questo è il presupposto irrinunciabile di quella nuova evangelizzazione di cui, da anni, si discute e si sente la necessità.