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"Non è mai indolore cambiare un ceto politico inadeguato"

16-10-2021 08:00

Nicola Filippone

Cronaca, Focus,

"Non è mai indolore cambiare un ceto politico inadeguato"

Ma è il momento di farlo prima che sia troppo tardi

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L’assalto alla sede della CGIL, avvenuto a Roma sabato scorso, ha dominato la cronaca e il dibattito politico di questi giorni.

 

Non v’è dubbio che si è trattato di un episodio gravissimo e indegno, messo in atto da un gruppo di facinorosi, con propositi squadristi e antidemocratici.

Giuste le condanne dell’accaduto (purtroppo non unanimi) e la solidarietà (anche questa non di tutti) nei confronti di Maurizio Landini.

 

Il fenomeno va pure osservato da un punto di vista sociologico, perché offre tanti spunti per un’ampia riflessione, non solo politica. 
 

Innanzitutto c’è da chiedersi come mai una generazione così insofferente nei confronti della disciplina e, in generale, delle regole, che ha perfino abolito la leva militare, possa mostrare simpatia per una ideologia, che della cieca obbedienza al capo ha fatto il proprio vessillo.

 

Mi interrogo perché, a giudicare dai filmati, eccezion fatta per Roberto Fiore, che è nato nel 1959, gran parte degli assalitori appare abbastanza giovane.

Tra saluti romani e aquile tatuate, cosa può esserci di così attraente per un giovane d’oggi?

 

E, d’altro canto, perché un sindacato appare ai suoi occhi come un bersaglio contro cui accanirsi con tanta determinazione e furia distruttiva?

 

Molti hanno accostato quest’avvenimento al biennio rosso di un secolo fa, quando le aggressioni tra fascisti e marxisti succedevano quotidianamente e spesso qualcuno ci rimetteva pure la pelle.

Ma quella era l’epoca delle ideologie, che presumevano il possesso esclusivo di verità opposte e, per questo, si fronteggiavano con violenza, col proposito di imporsi l’una sull’altra.

Dal 1989, quando è crollato il muro di Berlino, le ideologie sono entrate in crisi irreversibile e uno scontro fisico, come quello del 9 ottobre, non ha più senso.
 

C’è un’altra questione che andrebbe sollevata e riguarda le somiglianze con l’assalto al Congresso di Washington del 6 gennaio di quest’anno.

Queste mi sembrano più pertinenti ed evidenti, considerato che a Roma si era pure pensata un’irruzione a Palazzo Chigi.

 

Temo che l’invasione di Capitol Hill non sia stata una brutta vicenda interna agli Stati Uniti, ma un pericoloso precedente dal quale possono discendere propositi emulativi in tutti gli altri Paesi democratici.

 

Ci sono luoghi che dovrebbero essere e rimanere inviolabili.

Uno di questi è il parlamento, così chiamato perché l’unica azione consentitavi è l’esercizio del diritto di parola.

 

Quando, però, si superano certi limiti e si fa scempio di quelle istituzioni ritenute “sacre”, sia pure in un’accezione laica, tornare indietro non sempre è possibile e comunque non lo è senza conseguenze.

 

Come accadde a Parigi all’arrivo dei granatieri, comandati da Gioacchino Murat, nel Consiglio dei Cinquecento nel 1799; poco dopo ne scaturì il colpo di Stato del 18 brumaio, che trasformò la Francia in un dominio personale di Napoleone. 


Non scinderei, inoltre, i recenti fatti di Roma con la forte astensione registrata alle ultime elezioni amministrative, sulla quale vorrei ritornare.

 

Se un italiano su due ha preferito non andare a votare, vuol dire che la fiducia degli elettori nei confronti dell’attuale classe politica si è dimezzata.

E questo deve far riflettere, perché la sostituzione di un ceto politico con un altro non è mai un evento indolore.

 

Dopo la Grande Guerra, i vecchi esponenti liberali furono sconfessati da un elettorato deluso di come si era concluso il conflitto, in tal modo si aprì la strada alla dittatura.

 

Per fortuna non siamo reduci da una guerra, ma stiamo uscendo da una pandemia che, in poco più di un anno, ha mietuto in Italia oltre 130 mila vittime (la Prima Guerra Mondiale 650 mila in quattro anni).

 

Per non parlare della crisi economica che ha causato e di cui, forse, non abbiamo ancora visto tutti gli effetti.

 

Lo scontento è diffuso e il green pass sta diventando il pretesto per scendere in piazza a protestare.

 

Purtroppo tra le masse possono talora scattare meccanismi difficili da controllare, di cui qualcuno potrebbe improvvidamente approfittare.  


Infine, penso che dovrebbero essere allertate le istituzioni educative, anche per quello che si diceva prima a proposito della disciplina.

 

Sarebbe il caso di recuperarla, di abituare i ragazzi a rispettare le norme, di inculcare in essi il senso del dovere, di far comprendere che la libertà non va mai disgiunta dalla responsabilità, che il conseguimento della maggiore età non è il lasciapassare per fare ciò che si vuole, ma un passaggio importante a partire dal quale si risponde personalmente delle proprie azioni.

 

Tutto ciò è necessario a salvaguardare la democrazia, a scongiurare che il desiderio di ordine, insito in ciascuno di noi, diventi volano per svolte autoritarie.

 

Nonostante sia abbastanza noto, merita di essere richiamato un passo della Repubblica di Platone, che mi pare si addica molto alla situazione che stiamo vivendo, sperando che sia monito per prevenire sciagure irreparabili:
 

“Quando un popolo, divorato dalla sete della libertà, si trova ad avere a capo dei  coppieri che gliene versano quanta ne vuole, fino ad ubriacarlo, accade allora che, se i governanti resistono alle richieste dei sempre più esigenti sudditi, sono dichiarati tiranni.

E avviene pure che chi si dimostra disciplinato nei confronti dei superiori è definito un uomo senza carattere, servo;

che il padre impaurito finisce per trattare il figlio come suo pari, e non è più rispettato,

che il maestro non osa rimproverare gli scolari e costoro si fanno beffe di lui,

che i giovani pretendano gli stessi diritti, le stesse  considerazioni  dei  vecchi, e questi, per non parer troppo severi, danno ragione ai giovani.

In questo clima di libertà, nel nome della medesima, non vi è più riguardo per nessuno.

In mezzo a tale licenza nasce e si sviluppa una mala pianta: la tirannia”.

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