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2 giugno: una festa ancora incompiuta

02-06-2021 08:00

Nicola Filippone

Cronaca, Focus,

2 giugno: una festa ancora incompiuta

Nacque la Repubblica, ma anche l'Assemblea Costituente...

Il preside dell'Istituto salesiano Ranchibile di Palermo Nicola Filippone, nel suo atteso contributo settimanale alle nostre riflessioni, ricorda che il 2 giugno 1946 nacque la Repubblica, ma anche l'Assemblea Costituente che su 556 componenti annoverava solo 21 donne che però furono fondamentali per fissare quei princìpi che la fanno considerare la "Costituzione migliore del mondo"...se fosse applicata...


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Il 2 giugno non si celebra solamente la nascita della Repubblica italiana, voluta col referendum del 1946, ma anche l’elezione dell’Assemblea Costituente, da cui è scaturito il nostro testo legislativo fondamentale.

 

In quella circostanza si votò, per la prima volta, col suffragio universale maschile e femminile.

 

Infatti, due mesi prima, si erano potute recare alle urne solamente le elettrici di quei comuni, che avevano rinnovato le proprie amministrazioni.

 

Tuttavia, dei 556 costituenti, le donne furono appena 21: 9 della Democrazia Cristiana, 9 del Partito Comunista, 2 del Partito Socialista e 1 dell’Uomo qualunque.

 

La gran parte proveniva dalla Resistenza, o comunque aveva direttamente vissuto la terribile esperienza della guerra. La più giovane era la venticinquenne Teresa Mattei, laureata in filosofia, ex partigiana, membro del commando che nel 1944 aveva ucciso Giovanni Gentile.

 

Precedentemente era stata torturata e violentata dai nazisti, aveva pure perso un fratello, suicida nella prigione romana di Via Tasso, per non sottoporsi alle sevizie delle SS.

A lei, a Rita Montagnana Togliatti e soprattutto a Teresa Noce si deve la scelta della mimosa quale simbolo dell’8 marzo.
 

Il pregio principale della Costituzione italiana, per il quale è stata definita “la migliore del mondo”, consiste nell’avere anteposto il bene della persona a quello dello Stato, conferendo centralità all’essere umano e alla sua dignità.

 

In quest’ottica, le costituenti hanno contribuito in maniera determinante a ridurre subito il divario culturale e istituzionale tra uomini e donne.

 

Ottavia Penna, ad esempio, è stata la prima candidata alla presidenza della Repubblica, malgrado abbia ricevuto i soli 32 voti del suo partito, contro i 396 di Enrico De Nicola, che il 28 giugno 1946 divenne Capo provvisorio dello Stato.

Sei di loro entrarono nella commissione dei 75, che stese materialmente la carta costituzionale, anche se l’on. Penna, pochi giorni dopo l’inizio dei lavori, decise di uscirne.

 

A Lina Merlin, il cui nome è rimasto legato per sempre alla legge, da lei proposta in Senato, che nel 1958 chiuse le case di tolleranza, si attribuiscono le parole dell’art. 3 della Costituzione: “Tutti i cittadini...sono uguali davanti alla legge, senza distinzioni di sesso”.

 

Maria Fiorini Nicotra è stata tra le firmatarie di un emendamento all’art. 48 (51 nella stesura definitiva), col quale si afferma che “Tutti i cittadini di ambo i sessi possono accedere agli uffici pubblici in condizione di uguaglianza”.

Alcune saranno successivamente elette in Parlamento, Angela Cingolani Guidi, nel 1951, fu la prima sottosegretaria, nel settimo governo De Gasperi, che le affidò la delega all’artigianato, nel Ministero dell’Industria e del Commercio.

 

Per avere la prima ministra, si dovrà, invece, attendere il 1976, quando l’on. Tina Anselmi occuperà il Dicastero del Lavoro nel terzo governo Andreotti.

Nel 1979 un’altra costituente, Nilde Iotti, siederà sullo scranno più alto della Camera dei Deputati, carica che manterrà fino al 1992, risultando, finora, la più longeva.

Proprio lei, in un articolo del 1947, scriveva: “…la voce delle donne ha risuonato anche nelle aule austere e solenni di Montecitorio: ecco Nadia Spano difendere i diritti delle vedove di guerra, Adele Bei chiedere al governo di continuare l’assistenza ai reduci e ai partigiani, Teresa Noce discutere e difendere con ardore nelle commissioni della Costituente i diritti delle lavoratrici. Il cammino percorso in meno di un anno è stato molto e difficile: ma le nostre donne hanno bruciato le tappe. Esse continuano la loro opera, ad esse va l’elogio e la fiducia delle donne italiane, di tutti gli italiani che sperano e credono nella rinascita democratica del nostro Paese”.


Le altre costituenti sono: Bianca Bianchi, Laura Bianchini, Elisabetta Conci, Maria De Unterrichter Jervolino, Filomena Delli Castelli, Maria Federici, Angela Gotelli, Teresa Mattei, Angiola Minella, Elettra Pollastrini, M. Maddalena Rossi, Vittoria Titomanlio. 
 

Le due uniche siciliane furono le già citate Ottavia Penna e Maria Fiorini Nicotra.
 

La prima era di Caltagirone, nipote abiatica di Guglielmo Penna, che era stato deputato liberale sotto il Regno sabaudo.

Spirito anticonformista e cattolica praticante, dopo un esordio tra i monarchici, nel 1946 fu candidata da Guglielmo Giannini, teorico ante litteram dell’antipolitica e fondatore del movimento dell’Uomo qualunque, il cui slogan era: "Abbasso tutto!"

Con questa scelta, Ottavia si attirò le critiche degli ambienti religiosi calatini, da lei praticati.

Venne eletta nel collegio XXIX di Catania con 11765 preferenze e, quando giunse a Roma, dichiarò: “Non sono laureata, non ho titoli accademici, né onorificenze, sono profondamente italiana e mi trovo alla Costituente (come un pesce fuor d’acqua) unicamente per amor di Patria”.

Il 15 novembre 1947 si dimise dal suo gruppo per fondare l’Unione nazionale nella quale rimase sino al termine dei lavori. Concluso il mandato di costituente, tornò nella città natale e, nel 1953, conquistò un seggio al consiglio comunale per la lista monarchica, in antagonismo con la sorella Carolina, democristiana, che tre anni dopo assunse la carica di sindaca di Caltagirone.
 

Maria Fiorini Nicotra era catanese, militante dell’Azione Cattolica e crocerossina volontaria durante il conflitto mondiale. Giunse alla Costituente grazie alle 22838 preferenze, guadagnate nel medesimo collegio XXIX di Catania.

Nel 1948 venne di nuovo eletta alla Camera dei Deputati, dove presentò sei proposte di legge ed entrò a far parte (la prima volta di una donna) di una commissione parlamentare di vigilanza sulla condizione dei detenuti nelle carceri.

Risultata la prima dei non eletti alle successive elezioni politiche, continuò l’impegno sociale nel capoluogo etneo, come presidente dell’Istituto Autonomo Case Popolari.

Collaborò, inoltre, col marito, il senatore democristiano Graziano Verzotto, sostenendolo sempre, anche quando egli fu costretto a lasciare la politica e l’Italia, per il coinvolgimento in alcuni casi giudiziari.

Rientrato in patria, fu raggiunto dalla moglie a Padova, che vi rimase sino alla morte.

Poco prima di spegnersi, Maria Fiorini Nicotra ricevette dal Presidente Giorgio Napolitano la più alta onorificenza della Repubblica: Cavaliere di Gran Croce. 
 

A settantacinque anni da quella esaltante esperienza, le donne parlamentari attualmente in Italia sono 339, di cui 112 in Senato, pari al 35,11% e 227 alla Camera dei Deputati, corrispondenti al 36,06%.

 

Le ministre del governo Draghi sono 8 su 23 e le sottosegretarie 19 su 39.

 

I numeri non sono incoraggianti, se pensiamo che in Francia le donne al governo sono 9 su 18; in Germania 7 su 15, inclusa la cancelliera; in Spagna 11 su 18.

 

In Italia non c’è mai stata una Presidente della Repubblica, né del Consiglio, ma più volte sono state elette donne alla guida di uno dei rami del Parlamento (Nilde Iotti, Irene Pivetti, Laura Boldrini, Maria Elisabetta Casellati) e, di recente, Marta Cartabia, è stata pure Presidente della Corte Costituzionale.

 

Vanno ricordate anche due italiane molto apprezzate all’estero: Fabiola Gianotti, che dal 2016 dirige il CERN di Ginevra e l’astronauta Samantha Cristoforetti, che comanderà la Stazione Spaziale Internazionale, durante la Expedition 68.
 

Se dunque molti progressi sono già avvenuti, altre tappe devono essere raggiunte nel cammino verso una parità piena.

 

Alcune sono culturali: bisogna scrollarsi di vecchi pregiudizi e di una concezione retriva della donna, concepita in una condizione non solo di inferiorità, quanto di subalternità rispetto all’uomo.

 

Troppe notizie di cronaca riguardano ancora lavoratrici, mogli, politiche, in qualche caso pure figlie o sorelle.

 

Per citare la senatrice a vita Liliana Segre, “le donne non devono più sentirsi in colpa di esserlo”.

 

Deve allora compiersi del tutto quella “rivoluzione”, avviata nel 1946, così lucidamente ricordata da Filomena Delli Castelli:

“…Eravamo consapevoli che il voto alle donne costituiva una tappa fondamentale della grande rivoluzione italiana del dopoguerra. Avevamo finalmente potuto votare e far eleggere le donne. E non saremmo state più considerate solo casalinghe o lavoratrici senza voce, ma fautrici a pieno titolo della nuova politica italiana”.  

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