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200 anni dalla morte di Napoleone: l'imperatore che non riuscì ad invadere la Sicilia

05-05-2021 08:00

Nicola Filippone

Cronaca, Focus,

200 anni dalla morte di Napoleone: l'imperatore che non riuscì ad invadere la Sicilia

Risparmiati dai francesi, ci pensarono i garibaldini...

Questa settimana il preside dell'Istituto salesiano Ranchibile di Palermo prende spunto da un anniversario per ricordare come i fatti storici continuino a spiegare i loro effetti anche a distanza di secoli. Anche oggi...

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Il 5 maggio 1821, in un isolotto sperduto nell’Atlantico, dove gli Inglesi lo avevano relegato, moriva Napoleone Bonaparte.

 

A duecento anni di distanza, dubbi e interrogativi permangono sulla sua morte.

 

Fu, quello dell’ex Imperatore, un decesso naturale?

 

O venne assassinato dai suoi nemici, che continuavano a temerlo, benché sconfitto ed esiliato?

 

Il suo mito era, infatti, ancora vivo e vivido, in patria si era pure formato un partito politico a lui ispirato e, dopo qualche decennio, un suo discendente proverà ad emularlo, riscuotendo un vasto consenso popolare, non foss’altro che per il cognome che portava.

 

Del resto, anche la nascita è un po’ avvolta nel mistero, certo è solamente il giorno, 15 agosto, ma l’anno è controverso.

 

I testi riportano il 1769, come i documenti anagrafici.

Ma secondo alcuni storici si sarebbe ringiovanito di due anni, per risultare nativo francese, visto che nel 1768 la Corsica, l’isola in cui vide la luce, era passata dalla Repubblica di Genova alla Francia.

Le sue origini rimangono, comunque, saldamente italiane.

Il padre, Carlo Maria Buonaparte era toscano, la madre, Maria Letizia Ramolino, discendeva da una famiglia toscano-lombarda. 
 

Napoleone è considerato il più grande stratega e politico dell’età contemporanea e tra i maggiori di tutta la storia.

Il suo genio militare, per un ventennio circa, mise in atto vittorie portentose, sconfiggendo le varie coalizioni, che si erano formate in Europa per fronteggiarlo.

Anche quando le forze in campo erano decisamente a favore degli avversari e le previsioni lo davano per spacciato, egli riuscì ad avere la meglio, sbaragliando il nemico e costringendolo a rese umilianti. 
 

L’egemonia militare crebbe parallela a quella politica, scalando dapprima le istituzioni francesi, nate dalla recente Rivoluzione, fino a quel 2 dicembre 1804, quando divenne Imperatore dei Francesi, a Notre Dame, alla presenza di papa Pio VII, ridotto a semplice spettatore.

 

Bonaparte stesso, infatti, si cinse il capo della corona e, subito dopo, incoronò la moglie Giuseppina, contro il parere della madre che, per questo, disertò la cerimonia.

Egli, tuttavia, costrinse il pittore Jean Louis David, incaricato di immortalare su tela quell’evento, ad inserire la madre tra i presenti, per celare ai posteri il dissidio tra le due donne.
 

Dai tempi di Carlo Magno non vi era stato in Europa un politico così potente, in grado di condizionare la vita di milioni di uomini.

Oltre alla Francia, la cui superficie crebbe notevolmente sotto il suo governo, Napoleone riuscì a controllare, direttamente o indirettamente, quasi tutto il vecchio continente, con poche eccezioni, tra cui l’Inghilterra, che non riuscì mai ad invadere, la Russia, più volte battuta, ma mai del tutto sottomessa, per la vastità del suo territorio, e la Sicilia. 
 

Le armate del Bonaparte scorrazzarono in Italia, a partire dalla prima campagna del 1796, ma non misero piede nella nostra isola.

 

Il re Ferdinando IV di Napoli fu ripetutamente obbligato a lasciare la città partenopea e a rifugiarsi a Palermo, dove regnava come Ferdinando III.

Ivi ottenne dalla nobiltà cittadina un’estensione di 400 ettari di terreno, alle falde del Monte Pellegrino, che trasformò in una riserva di caccia, con al centro una costruzione, progettata dell’architetto Giuseppe Venanzio Marvuglia, nota come “Palazzina Cinese, per il suo inconfondibile stile orientale.

La tenuta, che fu dedicata a Lucia Migliaccio, Duchessa di Floridia, amante “favorita” del sovrano, costituisce oggi il Parco della Favorita, splendida riserva naturale e prezioso polmone urbano.
 

La mancata occupazione della Sicilia da parte dei Francesi ebbe importanti conseguenze, le cui vestigia sono tutt’ora evidenti.
 

Innanzitutto risparmiò l’isola dalla devastazione e dal saccheggio cui sarebbe stata inesorabilmente sottoposta.

Le opere d’arte trafugate nel resto della penisola in quegli anni e mai più tornate in Italia, non sono calcolabili.

In misura minore saranno i garibaldini, cinquant’anni dopo, a fare scempio di edifici e capolavori, basti pensare alle tessere musive del chiostro benedettino di Monreale, in gran parte divelte dalle baionette dei Mille.
 

Un altro effetto fu l’inserimento della Sicilia nell’orbita politica ed economica inglese, che determinò l’arrivo di importanti famiglie, come i Whitaker, gli Ingham, gli Hopps e i Woodhouse.

Esse apriranno attività commerciali di grande successo, quale la produzione del vino Marsala e lasceranno testimonianze artistiche ragguardevoli.

Tra cui ricordiamo la Anglican Church, edificata a Palermo di fronte all’Hotel et des Palmes, ex residenza privata della famiglia Ingham-Whitaker, la Villa Malfitano in Via Dante e la Villa Whitaker, attuale sede del Prefetto di Palermo, in Via Cavour.
 

Grazie all’influenza britannica, il 19 luglio 1812, il Parlamento siciliano cominciò a votare una Costituzione, dopo una sommossa esplosa contro l’ennesimo aumento delle tasse.

Sotto la supervisione di Lord William Bentinck, plenipotenziario britannico nell’Isola, si volevano trasformare le istituzioni siciliane sul modello liberale di Londra.

 

In realtà, si ottenne un documento che limitò solamente la monarchia, che, peraltro, appena poté, fece rientro in Campania.

Chi invece uscì rafforzata fu l’aristocrazia isolana, i cui privilegi si accrebbero ulteriormente.

Se da un lato venne formalmente abolito il feudalesimo, dall’altro si inaugurò il sistema del latifondo, che confermò la stragrande quantità di terreni coltivabili nelle mani di pochi proprietari, ai quali fu concessa la facoltà di lasciarlo in eredità ai discendenti, senza più l’obbligo di rispettare i vincoli di vassallaggio nei confronti del sovrano.

Maggiori artefici della Costituzione furono Carlo Cottone, principe di Castelnuovo, Giuseppe Ventimiglia, Principe di Belmonte e l’abate Paolo Balsamo.

Per la scarsa rappresentatività democratica del Parlamento, ostaggio di un’oligarchia baronale, il conseguente ruolo subalterno della borghesia e la mancanza di una riconosciuta sovranità popolare, il testo legislativo concepito allora non rispecchiava né la corona parlamentare inglese, né lo spirito rivoluzionario giacobino.

 

Da questo punto di vista, la Sicilia mantenne, invece, un impianto socio-economico anacronistico, caratterizzato da forme di supremazia personale, o familiare, che resero il latifondo l’humus ideale di un’ancora incipiente “onorata società”.

 

Si dovettero attendere i decreti Gullo nel 1944 e la riforma agraria del 1950, per la sospirata distribuzione delle terre ai contadini.
 

Il 18 giugno 1815, a Waterloo, si concludeva l’epopea napoleonica, con una sconfitta clamorosa di cui non si sono mai comprese le ragioni:

un inatteso nubifragio che rallentò i movimenti di Bonaparte?

Una sua indisposizione fisica, riconducibile al presunto cancro allo stomaco, che l’Imperatore avrebbe ereditato dal padre?

La superiorità dei comandanti nemici Blucher e Wellington?

 

Victor Hugo, ne "I miserabili", ha scritto delle pagine memorabili in cui spiega cosa, secondo lui, è veramente successo:
“Era possibile che Napoleone vincesse questa battaglia? Noi lo neghiamo. Perché? Per causa di Wellington? Per causa di Blucher? No, per causa di Dio.
Bonaparte vincitore a Waterloo, questo non rientrava nella legge del secolo diciannovesimo: un’altra serie di fatti si preparava, in cui Napoleone non aveva più posto.

Da lunga data si era annunziato il malvolere degli eventi.
Era ora che quella mole precipitasse. Il peso eccessivo di quell’uomo nel destino umano rompeva l’equilibrio: da solo quell’individuo contava più che l’agglomerato universale.

Tali pletore di tutta la vitalità umana concentrate in un solo capo, il mondo che sale al cervello di un uomo significherebbe, se durasse, la morte della civiltà.

Per l’incorruttibile giustizia suprema era giunto il momento di provvedere: probabilmente i principi e gli elementi da cui dipendono le regolari gravitazioni nell’ordine morale come in quello materiale, si lamentavano.

Il sangue fumante, i cimiteri rigurgitanti, le madri in lacrime, sono arringhe formidabili.

Quando la terra soffre d’un peso eccessivo, vi sono nell’ombra gemiti misteriosi che l’abisso ode.
Napoleone era stato denunziato nell’infinito e la sua caduta era decisa. Egli disturbava Dio.
Waterloo non è una battaglia; è il mutamento di fronte dell’universo”.

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